Elenco delle storie
COLTIVAZIONE DELLA CANAPA
-
Periodo StoricoLa Seconda Guerra Mondiale e le memorie
-
Argomento storicoLe nostre memorie del 900 da S. Geminiano
Dalle memorie di Enrico Mazzoni di San Geminiano. Devo premettere che nella mia famiglia esisteva, forse da parecchi decenni, il telaio per fare la tela come pure i cosiddetti “ filini” e il ”guindel” per dipanare le matasse del filo e l’aspa per trasformare in matasse le piccole bobine che provenivano dal filino. Venendo a mancare un vasto assortimento di tessuti e di telerie piuttosto grezze, molte famiglie ( numerose) di agricoltori, negli anni dal 1942 al 45, avevano pensato di coltivare la canapa, per poter arrivare, dopo un’ infinità di operazioni, ad avere tessuti fatti in casa con i propri mezzi. Ricordo bene che si seminava un campetto di canapa, badando bene che la semina fosse folta, cioè con una buona densità di seme, per avere delle piante con fibra sottile e quindi più lavorabile. A fine agosto o metà settembre le piante erano mature ; si procedeva quindi manualmente al taglio delle piante e si facevano dei mannelli di misura media muniti di diversi legacci perché non si disfacessero, si caricavano sul carro e si portavano al maceratoio. Andavamo al podere Pontazzo condotto a mezzadria dalla famiglia Ferrari. All’estremo nord del prato stabile vi era un bel vascone profondo circa 80 cm. dotato di una buona scorta di tavolame e di grossi blocchi di cemento per coprire la canapa e assicurarne l’immersione per circa due settimane, senza che affiorasse in superficie. Si passava quindi a ritirare il prezioso carico, si scaricava nel cortile, si scioglievano i mannelli perché asciugassero, poi iniziava il lavoro grosso per noi ragazzi. Con le cosiddette “gramole “ ( una per sgrossare, una per rifinire) si continuava per ore a frantumare i fusti chiamati “canapuli”. Con la sgrossatura si toglievano tutti i pezzi grossi dei fusti, poi con la gramola più fine si toglievano i pezzetti più piccoli e qualsiasi altra impurità, finché la fibra rimaneva bella pulita. Nel tardo autunno o nell’inverno veniva “al consèn” che aveva diversi pettini di acciaio, in parte più grandi, in parte più fini. Dopo aver passato ripetutamente le fibra nei vari pettini, ricavava due tipi di materia da poter filare, il “carsol”, molto fine, dal quale si otteneva un filato adatto per tessere le lenzuola e la” stoppa” che era più ruvida e dava un filo per tessuti più scadenti. Ottenuta questa materia prima, le donne si mettevano a filare di giorno e anche nelle serate invernali. Una volta piene le piccole bobine c’era altro lavoro per noi ragazzi: svolgere il filo di canapa delle bobine e tramutarle in matasse per mezzo dell’aspa. Quando si programmava di tessere, la mamma comprava il filo di cotone bianchissimo che doveva servire per l’ordito della tela. Se il cotone era in matasse bisognava ridurlo in gomitoli. Poi si piazzava una intelaiatura rettangolare verticale che aveva, sui montanti laterali, infissi una decina di pioli in legno. In una cassa rettangolare che aveva circa 20 riquadri, distribuiti su due file, si ponevano altrettanti gomitoli di cotone. Il filo di ogni gomitolo convergeva in una spatola avente altrettanti fori. Tutti questi fili provenienti dalla spatola si univano e si legavano insieme all’inizio dell’intelaiatura verticale che, congegnata in quel modo, distribuiva il mazzo di fili in tutte le impalcature e preparava l’ordito della tela che doveva essere esclusivamente di filo di cotone . Preparato questo grosso involto di fili di cotone, si provvedeva a trasferirlo sul telaio, arrotolandolo su di un perno cilindrico largo quanto la misura trasversale del telaio. La larghezza del telo era di solito non più di 120 cm. Per fare un lenzuolo matrimoniale occorreva cucire insieme due teli. L’ordito veniva teso in modo leggermente inclinato verso la postazione della tessitrice, curando di far passare ogni singolo filo prima per i “licci” poi per il pettine ed infine tutti i fili si allacciavano ad una striscia di tela chiamata “inizio tela “ fissata ad un altro perno cilindrico di legno ( diametro 10 cm) che in seguito arrotolava la tela appena fatta . I fili di cotone dell’ordito erano stesi in linea orizzontale, ma, per mezzo di due pedali, venivano spostati metà per metà verticalmente creando così un passaggio alto alcuni centimetri, entro il quale la tessitrice faceva scorrere la spola dove era arrotolato il filo di canapa, protetto da una custodia affusolata chiamata la “ nasvéla “ ( in italiano navicella ). Ad ogni passaggio della spola corrispondeva un movimento della cassa col pettine per stringere il filo al resto della tela ed anche un movimento intercalato dei due pedali . Nei giorni della tessitura ( vacanze di Natale oppure in marzo ) i ragazzi erano impegnati a fare le spole con un piccolo attrezzo chiamato ”lindor o spolador” munito di due supporti con una rotella e una spina lunga 50 cm. dove all’estremità appuntita si infilava la spola che veniva riempita di filo, ruotando il meccanismo. Ogni volta si preparavano 20 o 30 spole, si mettevano in un recipiente e si portavano alla tessitrice che lo collocava su un apposito ripiano della “panchetta “. Nello stesso tempo la tessitrice chiedeva di passare l’ordito con un preparato a base di farina per rendere più scorrevole il lavoro della cassa e faceva ruotare di circa 20-30 cm. la tela già fatta. La stanzetta del telaio era munita di un camino per i mesi invernali. Finita la lavorazione, la tela novella veniva sottoposta ad un processo di sbiancamento, ma non ricordo il procedimento. Anche se sbiancata, la tela, utilizzata per realizzare lenzuola, tovaglie, canovacci o asciugamani, era sempre molto ruvida: quando ci si asciugava dopo essersi lavati, la salvietta graffiava.
-
Data creazioneGiovedì, 29 Aprile 2021
-
Ultima modificaMartedì, 01 Agosto 2023