Elenco delle storie
ALTRI ALLEVAMENTI
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Periodo StoricoLa modernità: dal 900 al 1940
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Argomento storicoL’agricoltura nella prima metà del ‘900
Pecore, I toponimi pecorile presenti in due zone del Comune, le tracce da documenti romani che decantano la produzione laniera della zona, fanno pensare a precedenti allevamenti di una certa consistenza, censimenti del 2000 presentano un limitatissimo numero di capi. Durante la seconda guerra mondiale si cercò di tenere le pecore per avere lana per maglie e pullover, la custodia delle pecore nelle ore libere era affidata ai ragazzi, diversamente venivano legate singolarmente ad un palo con una funicella lunga qualche metro nell’area dove cresceva un po’ d’erba, per non lasciarle scorrazzare nei prati. La tosa delle pecore avveniva due volte all’anno, Ottobre ed Aprile, prima della tosatura però si portavano nel corso d’acqua per una prima lavatura della lana. Dopo la tosatura avveniva il lavaggio definitivo con successiva stesa al sole per asciugare la lana. Alla tosatura, alle pecore venivano legate le quattro zampe unite, per impedire movimenti pericolosi. Si usava un grosso paio di forbici appositamente realizzate, dopo la tosatura la pecora era irriconoscibile come aspetto e come dimensione. Riteniamo curioso riportare una memoria dell’allora ragazzo E. Mazzoni
Avendo soltanto due femmine, per allevare qualche agnello, si doveva trovare un maschio in prestito per la riproduzione. Compito anche questo piuttosto ingrato e affidato ai ragazzi. Vi era una famiglia di Tortiano che lo concedeva in prestito. Si doveva andare a Tortiano in due con un’unica bicicletta, una volta prelevato il montone, io (Mazzoni) lo tenevo con una cordicella a piedi, l’altro più grande (il fratello) mi seguiva adagio in bicicletta. In mancanza di strade più comode si arrivava a ridosso del ponte di Montecchio poi si imboccava il sentiero dell’Enza e dopo un’infinità di giri e di curve si arrivava all’inizio di via Resga ad un chilometro da casa. Gli indumenti ottenuti con la lana di pecora avevano una buona tenuta termica, ma procuravano un disgustoso prurito.
MAIALE – Nel secolo scorso era molto diffusa la pratica dell’allevamento del maiale presso le imprese agricole. Una femmina (la zana) produceva cinque o sei maialini anno, alcuni venivano venduti da lattonzoli, 20-30Kg, generalmente se ne allevavano due (sembra crescessero meglio insieme) per uso diretto, o qualcuno in più per venderli pronti per la macellazione. Le tipologie allevate nella prima metà del secolo producevano molto grasso, naturalmente ben utilizzato nella grassa cucina emiliana (soprattutto per non comprare il carissimo olio), ma gradatamente con il mutare delle linee di alimentazione umana anche il maiale subì la dieta, ovvero vennero selezionate razze più performanti in termini di rapporto carne / grasso. Nota stonata, ma obbligatoria, i maschi allevati per farne poi salumi venivano assolutamente castrati e quando (sfortunatamente in rari casi) l’operazione risultava mal eseguita la carne e soprattutto il grasso in fase di cottura emanava odori pestiferi e il lavorato veniva svenduto sottocosto.
Venivano allevati in un ambiente basso (stabi), generalmente meno di due metri d’altezza e due per due di lato, posizionato in portichetti ove il piano superiore era dedicato a ripostigli per legna, piccoli attrezzi e spesso un pollaio. Normalmente ogni ambiente ospitava una coppia di castrati per gli allevamenti domestici e alcune coppie (non più di 10 per singolo ambiente ??) per i caseifici. L’arredo della porcilaia consisteva in una vasca rettangolare di 20cm per 100 -150 cm profonda 20cm, che veniva realizzata lungo una parete, con uno dei lati stretti che raggiungeva l’esterno del locale, per permettere d’introdurre il cibo senza entrare nel locale. Completava l’arredo una porta composta da due ante sovrapposte munite di catenacci, l’anta superiore fungeva da finestra per l’eventuale luce e aerazione nonché per guardare i maiali. Il pavimento in lieve pendenza era dotato di uno scolo collegato con una cisterna (generalmente con fondo in terra) per la raccolta del liquame.
L’allevamento più intensivo avveniva nei caseifici, poiché il sottoprodotto della lavorazione di burro e formaggio, il siero, era un liquido che non poteva essere utilizzato per altre produzioni, ma avendo un discreto valore nutritivo era usato come base per la preparazione del cibo da maiali (la zota). Una ventina di caseifici potevano allevare seicento maiali anno ? L’allevamento casereccio era prevalentemente realizzato da parte dei contadini, mezzadri e fittavoli, per se e per i proprietari del fondo, ma non solo, infatti dalle denunce daziarie ancora nel 1946 risulta che quasi 500 tra Famigli, vaccari e braccianti, ovviamente persone che abitavano in una corte, allevavano uno o più maiali (probabilmente 1500 maiali). Le famiglie più povere nel migliore dei casi si tenevano una parte dei salumi e vendevano prosciutti e spalle ecc., nei casi di maggior povertà vendevano tutto il maiale, o come ci ricorda Ponzi, ci tenevamo le ossa e un poco di lardo. Il grosso della produzione era quindi di origina casereccia (oltre un migliaio o più di capi) durava all’incirca un anno (quello industriale 7 mesi), gli ultimi mesi la crescita era modesta, ma miglioravano la qualità della carne da salumi. L’uccisione e lavorazione della carne avveniva nel periodo invernale dicembre febbraio, che presentava il triplice vantaggio di disporre di freddo, mancanza di mosche e altri insetti e tempo libero da parte dei contadini e dei norcini che in genere erano essi pure contadini.
Dai dati del 1946, il totale della popolazione suina del comune era rappresentata da:
- Verri per la monta 4
- Fattrici (zane) 206
- Maiali e lattonzoli in allevamento (castrati) 2.109
un vero tour de force per quei quattro maschi
Il cibo … Il Maiale è un animale onnivoro, ma l’alimentazione per l’allevamento è essenzialmente vegetariana, nell’antichità con l’allevamento brado uno dei cibi preferiti erano le ghiande, a quel tempo abbondanti, per i periodi nei quali non erano disponibili le ghiande probabilmente la dieta consisteva in erbe, tuberi e forse anche qualche topolino. Nei tempi moderni l’alimentazione dell’allevamento casereccio era sostanzialmente costituito da crusca e farina gialla impastate con acqua e qualche scarto di cibo dell’alimentazione umana, nonché frutti della casca come pere, mele ecc.? Per i caseifici la variante primaria era costituita dal siero col quale s’impastavano crusche e farine.
La norcineria - L’attività era gestita dallo specialista, il massalen (norcino) e un aiutante, in genere contadini che nei tre mesi invernali svolgevano un intenso tour de force lavorando 40 - 60 maiali. Tenuto conto del parco di circa 2.000 maiali nella prima metà del secolo scorso sarebbero occorsi una quarantina di norcini, ma probabilmente molti contadini gestivano in proprio la lavorazione e i norcini che operavano conto terzi probabilmente non superavano la decina.
Come si vede dalla tabella sottoesposta dai circa 2.000 capi dell’ottocento e primo novecento, si è passati verso fine secolo agli 8-10.000 capi, ma quasi totalmente allevati in allevamenti industriali, l’allevamento casereccio per uso diretto del contadino probabilmente oggi si è ridotto a poche decine di capi.
Il mattino presto avveniva l’uccisione del maiale e la riduzione in mezzene che venivano appese con ganci ad un soffitto per raffreddarsi e …, il giorno successivo si operava il sezionamento dei vari pezzi di carne.
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divisione in mezzene | Mezzene |
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Tagli di carne per i salumi grandi culatello ecc. | Salami, salamini e cotechini |
Gli animali da cortile - Immancabili erano i pollai per galline, allevate sia per l’uso delle carni che per le uova, anche in questo settore i maschi avevano vita grama, come è noto non convivono volentieri più galletti in un pollaio, pertanto il loro destino aveva due strade, venire castrati da piccoli per farne capponi, o finire precocemente in padella. L’allevamento partiva naturalmente dalle uova che prodotte da galline accuratamente fecondate dal gallo erano pronte per essere covate. Dopo xx giorni di cova nascevano i pulcini che per i primissimi giorni venivano tenuti sotto una gabbia (la corga) per proteggerli, poi liberati sotto l’attenta tutela della chioccia che per l’occasione dimenticava di essere una semplice gallina ma assumeva un’inaspettata aggressività verso chi si avvicinava ai suoi protetti.
Chioccia con i suoi pulcini
Meno diffusi ma non rari erano le anatre, nelle tipologie sioreni, nadar mut, poi i tacchini e le oche a suo tempo molto utili per le piume utilizzate nei cuscini ecc.
I conigli venivano allevati in apposite gabbie, che potevano contenerne due o tre, oppure una particolare per la coniglia che aveva partorito i coniglietti.
La produzione di animali da cortile, seppure allevati prioritariamente per un consumo diretto, in parte andavano a rifornire il mercato, che nella prima metà del 900 non poteva ancora contare su allevamenti industrializzati, il tramite per queste vendite erano sostanzialmente due, l’uno portare le galline ecc (o andare a comprare pulcini ecc) al mercato di Traversetolo, generalmente con bicicletta e cavag, oppure più comodamente affidarsi al “Polarol”. L’allevamento industriale dei polli nel nostro comune si è sviluppato verso fine secolo scorso e si è esaurito all’inizio del 2000.
L’apicoltura - Nel nostro territorio non è mai stata un attività particolarmente sviluppata, anche se dal censimento del 1860 risulta che nel Comune, distribuiti tra le varie frazioni erano presenti ben 178 favi. Attualmente si contano una decina di allevatori.
Alveari in prossimità dell’Enza
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Data creazioneLunedì, 01 Giugno 2020
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Ultima modificaMartedì, 13 Aprile 2021