Elenco delle storie
ALLEVAMENTI BOVINI
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Periodo StoricoLa modernità: dal 900 al 1940
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Argomento storicoL’agricoltura nella prima metà del ‘900
E’ noto che l’area del nostro Comune da secoli disponeva di canalizzazioni per l’irrigazione, e quindi era elevata la resa dei prodotti e in particolare il foraggio. La tabella sottoesposta purtroppo incompleta ci mostra comunque come il parco bovino sia costantemente cresciuto (salvo il periodo della seconda guerra mondiale) e come si sia ridotto il numero di aziende, passando quindi da stalle con una dozzina di capi alle attuali con alcune centinaia.
Anno |
1850 |
1918 |
1935 |
1942 |
1946 |
1970 |
1980 |
1990 |
2000 |
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Aziende con Bovini |
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310 |
290 |
189 |
133 |
89 |
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Vacche |
854 |
2311 |
3.009 |
2198 |
1.725 |
3.543 |
4.497 |
4.475 |
4.651 |
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Tori |
72 |
387* |
141 |
39 |
42 |
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Buoi |
739 |
495 |
116 |
173 |
43 |
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Vitelli |
381 |
1291 |
2.188 |
1616 |
2.835 |
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Totale Bovini |
2.046 |
2.329 |
5.454 |
4026 |
4.645 |
7.169 |
8.611 |
8.521 |
8.263 |
Il Rapporto numerico tra Vacche e buoi - E’ strano per la moderna cultura agricola vedere che nel 1850 il numero dei buoi era sostanzialmente simile a quello delle vacche, che poi scema gradualmente quasi a sparire. Certamente nell’ottocento la resa in latte delle vacche era molto bassa, e forse anche il prezzo del latte, da qui si riteneva più produttivo disporre di buoi che rendevano il lavoro molto più rapido, e forse rappresentavano anche un buon reddito per la carne. Evidentemente già a inizio novecento la resa da latte era più importante e il numero dei buoi cade sostituiti nel lavoro dalle mucche. A maggior ragione procedendo con la motorizzazione il bue è diventato obsoleto ed è sparito. Se si pensa alla dinamica di crescita della produzione del parmigiano, può sembrare anomala la sostanziale stabilità del numero di vacche dal 70 ad oggi. Ma la distonia sul numero di capi, nasce dalla resa pro capite delle mucche, che è passata da circa 10-15 litri a 30-40 litri giorno/ vacca, o se vogliamo dai 7 quintali /anno dell’ottocento ai 70quintali / anno del 2.000.
Le poste nella stalla – Generalmente la posta della mucca ha un ampiezza di 130 e una lunghezza di 180 cm, la mangiatoia ha un ampiezza di circa 50 profondità di 35 cm, il solchetto ha profondità di 20 cm.
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l’Abbeveraggio – Per la prima metà del novecento, l’abbeveraggio delle mucche avveniva a mezzo di bigonci posti contro la mangiatoia tra due mucche e riempiti con secchi d’acqua prelevata dal vascone posto sotto la porta morta (l’erbi) e riempito a sua volta con la pompa a mano (il sambot), ove si disponeva di canali irrigui, veniva realizzata una peschiera, e da questa si prelevavano i secchi d’acqua. Nel dopoguerra con l’elettrificazione dei pozzi, si sono realizzati sistemi di distribuzione dell’acqua verso apposite pilette poste sulla mangiatoia. Nei primi impianti le pilette erano in cemento e il livello dell’acqua era realizzato tramite vasche dotate di regolatori di livelle a galleggiante. Successivamente le pilette divennero in metallo e furono dotate di sistemi che di apertura della mandata azionati dal muso della vacca.
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L’allevamento prima dell’Ottocento era fondamentalmente legato alla disponibilità di animali da tiro, poi alla produzione del latte. Per questa attività le mucche erano dotate di zoccoli, analogamente i cavalli, e il tiro dei carri o aratri avveniva tramite l’utilizzo di un giogo
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Solo più tardi si diede prevalenza alla produzione di latte, e i vitelli se femmine erano fatti crescere e tenuti in quantità mirate al mantenimento del parco mucche da latte. Le mucche da latte vivevano (e ancora nelle rare e piccole stalle) in una posta fissa per tutta la vita, erano identificate da una tabella che riportava il loro nome, in genere abbastanza curioso, e il vaccaro non solo le alimentava e mungeva, ma dedicava molta attenzione anche alla pulizia, usando una particolare spazzola metallica detta “streggia” .
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Per la mungitura che veniva realizzata con un secchio il vaccaro per adattarsi all’altezza delle mammelle utilizzava uno sgabello mono piede che dotato di una corda veniva fissato al corpo come fossa una cintura.
I maschi (torelli) erano generalmente venduti appena svezzati, o in alcuni casi allevati per venderli ad uso macellazione.
Le razze allevate ancora nei primi anni del Novecento erano definite nostrane, probabilmente di origine reggiane e modenesi; gradatamente vennero introdotte le bruno alpine di origine svizzera (Sguissri), che sostituirono le nostrane , che nel ‘46 sono già ridotte al 10-15%. Un dato che segnala questa trasformazione è la classificazione dei “tori da monta” , per i quali nel 1926 Montechiarugolo viene classificato al 4° posto in provincia, con 115 tori approvati, e delle seguenti razze:
Razza del toro |
Nostrana |
Bruno alpina |
Olandesi ( frisone) |
Quantità |
29 |
89 |
2 |
Percentuale |
24,1% |
74,2% |
1,7% |
Razza Formentina ( nostrana)
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Razza Bruna Alpina | Razza Frisona (olandesi) |
Sempre dello stresso periodo 1929, ad un concorso provinciale di allevatori vengono premiate tre aziende locali per i notevoli risultati nella produzione di latte, che si aggirava tra i 30-31 quintali / anno per vacca. Le imprese premiate furono :
La corte di Marcellino Mutti |
400 biolche |
167 capi, di cui 97 vacche, 3 tori di razza bruno alpina, uno nostrano |
La Torre di Giovanardi |
200 biolche |
83 capi, di cui 48 vacche, 1 toro razza bruno alpina |
Corneto - casino di Conforti |
350 biolche |
80 capi, di cui 38 vacche, 1 toro razza non dichiarata |
Queste aziende risultavano fortemente vocate all’allevamento bovino per produzione di latte, ed oltre alla selezione della razza integravano l’alimentazione con mangimi, nell’ordine di tre quintali anno per vacca.
La verifica dei tori - Con l’evidente intento di migliorare il patrimonio genetico delle bovine si sono predisposte visite dei tori da parte di una commissione giudicante, che definiva l’idoneità o meno all’utilizzo del toro per la monta.
Spostare e gestire un toro non era cosa comoda, e per farlo in sicurezza si utilizzava un attrezzo denominato “moragna” che inserito nelle narici permetteva di gestirlo in relativa tranquillità
Di seguito si riporta un documento del Bizzozzero (cattedra ambulante dell’agricoltura) datato 1930, ove si fissano gli appuntamenti:
E’ curiosa la dicitura relativa a Monticelli, definita” Monticelli Bagni”, che in quel tempo era il toponimo che sostituiva Montepelato ma parallelamente si riportava anche Montepelato.
La pratica di controllo proseguì anche nel periodo bellico come attesta il certificato di idoneità (di terza classe) del toro Lucifero datato 1943.
Dopo varie sperimentazioni nella Seconda metà del secolo si introdussero massicciamente le frisone (bianco nere) provenienti dall’Olanda, in principio osteggiate perché ritenute inadatte al traino e più delicate di salute. Nel ‘67 le frisone erano già maggioranza e ora sono quasi la totalità. La mungitura (a parte alcuni esperimenti) era di tipo manuale sino agli anni Sessanta: il vaccaro munito di sgabello con un singolo piede (legato alla cintura), si sedeva di fianco alla mucca, le legava la coda, quindi dopo un rapido massaggio alle mammelle cominciava a mungere il latte entro un secchio. In un tempo brevissimo dal 1960 con le prime mungitrici, si è arrivati al 1970 ove quasi la totalità delle stalle utilizzava la mungitrice elettrica, dapprima un tipo portatile dotata di contenitore di raccolta, poi con impianti di mungitura più complessi dotati di tubazioni di raccolta latte che lo convogliavano direttamente nel serbatoio infine nelle stalle più moderne, con le sale di mungitura ove la vacca si viene a far mungere. Con la selezione delle razze, il sistema meccanico di mungitura e l’introduzione di sfarinati nell’alimentazione la produzione pro capite di una vacca è decuplicata, dai 700 litri anno del 1800, si arriva nei oggi con alcuni capi (frisone) a 7.000 litri anno.
La fecondazione naturalmente esigeva la partecipazione del toro, che non sempre era presente nel piccolo podere, in quel caso la mucca veniva portata in un’altra stalla ove trovava la prestazione del toro. Ormai anche queste piccole gioie per quelle che a volte definiamo spregevolmente vacche sono solo un ricordo, infatti la fecondazione è al 100% effettuata dal veterinario, che si premura di non scegliere il toro troppo giovane per la manza, altrimenti il vitello nasce grosso con rischi nel parto. Naturalmente il seme ha un costo correlato con le prestazioni produttive della sua progenie. Oggi per il seme è possibile scegliere il sesso del nascituro, generalmente femmina se si intende ottenere vitelli per il rimpiazzo di vacche. Legato all’allevamento era la commercializzazione dei bovini, in particolare di vitelli in esubero, o di quelli allevati da carne, a questa attività si dedicavano apposite figure di commercianti, al mediator, in genere chiamati dal contadino venivano alla stalla, stimavano il peso dell’animale e in base alle loro conoscenze del mercato presentavano l’offerta di acquisto, naturalmente con tutta l’arte di imbonimento e trattativa per realizzare un affare lasciando il venditore convinto di aver ottenuto più del dovuto.
Ormai sparite, ma un tempo in gran voga, erano le fiere bovine alle quali venivano portati con orgoglio i propri capi migliori per partecipare alle gare. Montechiarugolo fu sede di fiera nei seguenti anni:
1832 |
1856 |
1866 |
1869 |
1873 |
1879 |
1897 |
1903 |
1913 |
1922 |
1929 |
1938 |
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Data creazioneGiovedì, 28 Maggio 2020
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Ultima modificaMartedì, 13 Aprile 2021